"Flussi di oggetti" tra la Rocca Busambra e il New Jersey

 Tra la Rocca Busambra e il New Jersey una costante circolazione di oggetti, tra i quali i memoriali e le pubblicazioni dei club, rappresenta una parte importante del contatto tra la comunità originaria e quella derivata. Il rinvio delle rimesse economiche dagli Stati Uniti è stato accompagnato da immagini e cartoline, ma, per coloro i quali rientrassero in Sicilia anche soltanto per brevi soggiorni, era consuetudine portare con sé degli oggetti che avessero un valore intrinseco oppure un valore simbolico perché legati a specifiche attività lavorative o perché ritenuti utili nel paese d’origine. Spesso poteva trattarsi anche di ritrovati tecnologici che gli emigrati riconoscevano più efficaci di quelli utilizzati nel loro paese di origine, specialmente nell’ambito del lavoro rurale. Una carrellata di oggetti portati dagli Stati Uniti è presente nella narrazione storica di Santo Lombino, nelle righe che seguono:
"Chi tornava in paese dopo l’esperienza nordamericana portava con sé qualche attrezzo di lavoro o oggetto d’uso domestico: c’era chi aveva messo nel baule uno scalpello e chi una pesante mazza metallica per i lavori edili, chi l’orologio a pendolo con base di legno intarsiato. Giuseppe Bordonaro, per esempio, ha portato dagli Stati Uniti il lume a petrolio, Pietro Arrigo una sega di grandi dimensioni, Rosario Azzara dei cunei in metallo, una mazza ed un’accetta di quindici chili per fare legna con gli ulivi ormai vecchi, Rosario Bordonaro l’accetta a due tagli, Salvatore Turi Leto una sega per gli alberi e la macchinetta tritacarne con cui venivano macinati anche i fichi secchi utilizzati come condimento per i vucciddata, i tradizionali dolci di Natale" (Lombino 2015: 1980).
Come emerge dall’elenco di oggetti riportato, le scelte ricadono da una parte su strumenti di lavoro che possono apportare migliorie e aiutare operai e contadini a diminuire la fatica; dall’altra, oggetti domestici portati per puro abbellimento o cooptati per un uso alternativo, come nel caso della macchinetta tritacarne, grazie al cui utilizzo si diminuisce sensibilmente il tempo di lavoro impiegato per sminuzzare i fichi secchi. In questa, apparentemente banale, circolazione di strumenti e utensili, è ravvisabile una volontà intrinseca di facilitare, con qualche novità americana, la vita ai propri connazionali, ma, al contempo stabilire uno status di “punto di riferimento” e una forma di “rimessa culturale” proveniente dalla vita oltreoceano, dove il miglioramento sostanziale del tenore di vita è simbolizzato anche dall’accesso a forme di tecnologia che, una volta portate o inviate in Sicilia, fungono da dispositivi di comunicazione del benessere raggiunto grazie alla buona riuscita del progetto migratorio organizzato nel luogo di origine.
A operare una sistematica raccolta del patrimonio immateriale dell’area della Busambra e, più in generale, della cultura italiana, è in prima istanza Tommaso Bordonaro, che fa la spola tra il New Jersey e la Rocca Busambra portando con sé oggetti dal valore intrinseco non eccezionale, ma di forte valenza simbolica. Nel caso specifico, Tommaso Bordonaro porta con sé una tromba: è lo strumento che ha imparato a suonare da ragazzo, entrando a far parte della banda musicale di Bolognetta, nonostante i dinieghi e i pregiudizi del padre:
"Quando io ero un ragazzo a dodici anni, nel paese di Bolognetta non ci stava musica, non esisteva musica. […] allora, quando è venuto… da sindaco con passati al podestà. Al paese di Bolognetta ci stava Orobello Giovanni, era il podestà. Ha voluto impiantare la musica, ha preso un maestro da Misilmeri, si chiamava Santo Meli e ha formato una musica a Bolognetta. Mio padre che di musica non nen voleva sentire niente, ma io ero pazzo per la musica da sempre. Da quando ero piccolo mi piaceva, la musica veniva ogni festa di santo Antonio o di Pasqua. Ogni anno veniva la musica di Ciminna. […] Ma quando però si è formata la musica a Bolognetta, mio padre non ne vuole sentire niente di musica e mi diceva a me «Musicanti stravacanti». Quando è arrivato il punto che Giovanni Orobello ha formato la musica in Bolognetta si chiamava la musicac fascista, ma non erano fascisti, erano chiamati la musica fascista. Allora quando sono arrivati gli strumenti di sta musica io mi trovavo in piazza a prendere l’acqua con mio padre e aspettavo la gente per vedere riempire i boccali dell’acqua, quando ho visto passare i Vilardi tutti e due i fratelli: uno suonava il genesi e uno aveva il basso e ho visto passare quelli con quegli strumenti. Son rimasto così d’impatto che piangevo perché volevo sapere la musica. Allora ho detto a mio padre «Vedi quelli? Sono meglio di me, quelli cha hanno la musica e io no?». Mi ha detto: «Stai zitto. Musicanti stravacanti», e mi ha dato un calcio ed è finita così".
Grazie alla mediazione di alcune persone di fiducia e dal buon ascendente sulla famiglia Bordonaro, Tommaso, allora ragazzino, riesce a far convincere il padre e ad entrare di ruolo nella banda del paese, dove impara anche a leggere sul pentagramma e ad acquisire una competenza che lo porterà a suonare nelle feste patronali di Bolognetta e dei paesi limitrofi. Anche durante la Guerra, Bordonaro suona il trombone e suona anche a Bengasi, facendosi conoscere prevalentemente come suonatore, nel rispetto della sua passione mai abbandonata. Quando approda negli Stati Uniti, Bordonaro riesce a proseguire la sua attività musicale anche lì:
"Passato il 1949, allora sono venuto in America, allora che ho lasciato l’Italia per venire in America ho cominciato perché ero sempre ambizioso della musica di suonare la musica. Ho trovato la musica di Paterson… si chiamava Paterson sinfonica banda, perciò mi son messo là. Ho fatto parte della musica… si chiamavano sinfonica banda New Jersey. […] era una banda importante, era una banda grande, qua in America, ma non era musica come quella dell’Italia però".
Grazie a un lavoro che coniuga il ritrovamento degli oggetti con la loro narrazione, è possibile così risalire non soltanto alle ragioni di utilizzo degli stessi, ma anche – e qui risiede il senso più profondo del lavoro cui tende l’allestimento di un museo delle migrazioni -  ricostruire le storie individuali e insieme collettive di una comunità che ha vissuto la spartenza e che ne porta ancora oggi i suoi segni, carichi di significato.

"Vite sospese" e "Non lasciamoli soli": mostra e libro a Villafrati

Sabato 30 marzo 2019 alle ore 17 presso il “Museo delle Spartenze dell’area di Rocca Busambra”, presso il palazzo Filangeri al Baglio, in corso San Marco a  Villafrati,  si inaugura la mostra fotografica "Vite sospese: sguardi nella quotidianità di un centro di accoglienza" di Camilla Macciani, risultato del soggiorno della fotografa presso lo SPRAR di Santa Caterina Gela. Segue la presentazione del libro "Non lasciamoli soli. Storie e testimonianze dall’inferno della Libia" di Francesco Viviano e Alessandra Ziniti, inviati del quotidiano  "la Repubblica", edito da Chiarelettere. Intervengono il sindaco del Comune di Villafrati Francesco Agnello e Adam Darawasha, assessore alle Culture, alla Partecipazione e alle Consulte della Città di Palermo.

Dolore per la tragica perdita del prof. Sebastiano Tusa

Il Consiglio di gestione e il Comitato scientifico del "Museo delle Spartenze dell'area di Rocca Busambra" esprime il proprio dolore per la tragica scomparsa del prof. Sebastiano Tusa, assessore regionale ai Beini Culturali della Sicilia, che ha espresso grande professionalità e grande passione nel suo lavoro di archeologo e grande preparazione nell'espletamento della carica di Sovrintendente del Mare, contribuendo in modo eccezionale allo sviluppo culturale e scientifico della nostra terra, dandoci l'esempio di come si possano coniugare onestà, competenza, disponibilità, e amore per la scienza e per ogni forma di bellezza. Ai familiari ed ai collaboratori la nostra vicinanza e il nostro cordoglio in questo terribile momento.
Santo Lombino
Direttore scientifico del Museo delle Spartenze

Il miraggio della terra in Sicilia. Dalla belle époque al fascismo


Lunedì 18 marzo 2019 si presenterà a Villafrati "Il miraggio della terra in Sicilia. Dalla belle époque al fascismo (1894-1943)", Istituto poligrafico europeo, terzo volume della trilogia di Pippo Oddo, dirigente sindacale, scrittore e storico, componente del Comitato scientifico del Museo delle Spartenze. L'iniziativa fa parte di un progetto che punta a valorizzare il nostro territorio ed il suo sviluppo culturale sociale ed economico. Anche per questo non poteva mancare l'apporto del nostro Museo, che si esplicherà anche con l'organizzazione di un momento artistico creativo che vedrà protagonisti ragazze e ragazzi del Centro di Accoglienza Straordinaria (CAS) di Villafrati, che alla fine della presentazione eseguiranno canti e danze dei loro paesi d'origine. Siete tutti invitati a partecipare!

L' 8 Marzo di Vincenza Benanti

Nell’incendio della Triangle Shirtwaist Company di New York, avvenuto nel 1911, persero la vita 146 lavoratori e lavoratrici. Ben 126 erano donne, in maggioranza ragazze di un’età compresa tra i 15 e i 25 anni. E fra esse 38 erano di nazionalità italiana, di cui 24 partite dalla Sicilia. Vincenza Benanti, figlia di Girolamo, era nata a Marineo il 18 febbraio 1888. Era emigrata nel 1905 ed aveva trovato residenza, assieme alla madre, Francesca Lo Pinto, a New York, al 17 Marlon Street. Come la maggioranza delle sue giovanissime colleghe di lavoro, cuciva camicette per 7 dollari a settimana, costretta a turni di lavoro massacranti di 12, ed anche 14 ore al giorno, con straordinari sottopagati e controlli rigidissimi. Solo dopo l’incendio è stato scoperto che i proprietari della fabbrica tenevano le porte con i lucchetti chiusi a chiave per poter controllare, a fine turno di lavoro, le borse delle oltre 500 lavoratrici. Anche per questo motivo molte donne sono state ritrovate carbonizzate, morte bruciate, soffocate o calpestate mentre cercavano di aprirsi una via di fuga dentro l’edificio in fiamme. Alcune di loro, tra cui Vincenza Benanti, hanno addirittura scelto di saltare dalle finestre del palazzo, nell’estremo tentativo di sottrarsi alla morsa del fuoco. Su Vincenza i medici legali hanno, infatti, riscontrato una tipologia di ferite compatibili con da caduta dal nono piano, dove prestava servizio. Il certificato di morte comunque indica, genericamente, come causa di morte l'asfissia. Quel sabato pomeriggio Vincenza era, dunque, seduta davanti alla sua macchina per cucire. Quando è scoppiato l’incendio mancavano pochi minuti alla fine del turno settimanale di lavoro. Le cause non sono state mai scoperte. Ma in pochi istanti il fuoco avvolse i mucchi di stoffa e camicette già confezionate di ben tre piani dell’edificio: l’ottavo, il nono e il decimo. Il giornale New York Times riferì che in pochi attimi «fu l'inferno». Molte porte rimasero con i lucchetti chiusi perché, nel frattempo, alla vista delle fiamme i capisquadra impiegati al controllo si erano messi in salvo. I giornali riferirono che la scala antincendio si spezzò subito a causa dell’eccessivo peso delle persone che vi transitarono sopra. E poi bruciò anche la struttura che reggeva l'ascensore, che precipitò al piano terra con il suo carico umano. Fu allora che molte ragazze, strette dalla morsa del caldo e del fumo, si affacciarono alle finestre per respirare. Ma quando le lingue di fuoco le raggiunsero cominciarono a lanciarsi per non bruciare vive. Furono scene strazianti, con i soccorritori impotenti. Scene che i giornali americani descrissero nei minimi dettagli: una donna baciò un uomo che aveva accanto e poi si lasciarono andare nel vuoto; due sorelle precipitarono tenendosi per la mano; una giovane donna si lasciò cadere e sembrava una torcia umana. Una «macabra grandinata», scrisse un reporter. Vincenza Benanti anche lei – molto probabilmente - si lanciò, forse nella speranza di aggrapparsi all’edificio accanto o nel tentativo di raggiungere la rete dei pompieri. Ma terminò anche lei la sua giovane vita sul marciapiede sottostante. Molte ragazze furono identificate nei giorni seguenti da un anello, da un pezzo di vestito o da una scarpa. Vincenza venne identificata, qualche giorno dopo, dal fratello Fedele. Una sua cugina, Tessa Benanti, di soli 16 anni, figura nella lista dei sopravvissuti. La madre di Vincenza, Francesca Lo Pinto, già malata di cancro, morì poco tempo dopo e fu sepolta assieme alla figlia. L’iscrizione lapide recita: “Dato il dolore di sua figlia, la madre ha cessato di vivere”. I proprietari della fabbrica uscirono assolti dal processo, mentre le assicurazioni risarcirono le famiglie con pochi dollari. Nei mesi seguenti furono istituite delle commissioni per indagare sulle condizioni di vita nelle fabbriche, e furono apportate importanti modifiche al diritto del lavoro dei lavoratori e delle lavoratrici dello Stato di New York. Per questo motivo, ed anche per un equivoco storico, questo incidente viene spesso ricordato come l'atto di origine della festa della donna dell'8 marzo.