"La grandezza dell'America? Non nascondere l’immondizia sotto il tappeto"

In questa torrida estate siciliana mi fanno venire i brividi certe fakes elettorali su una idilliaca e gaudiosa immigrazione italiana negli USA. Chi ha vissuto le tragiche esperienze di fine Ottocento e primi Novecento, di quei cafoni straccioni con le valigie di cartone, stivati nei transatlantici da negrieri, chi vi sopravvisse sa cosa significò il lager di Ellis Island.
La grandezza di una certa America eccelsa sta nel non nascondere l’immondizia sotto il tappeto: oggi quelle celle, con interriate come stive da polli, sono preservate ad eterno ricordo come museo, con schedari e anagrafe.
Avrei grande desiderio di leggere le schede di mio nonno e di mio zio, inoltratisi a lavorare in una fabbrica di shoes fino a Chicago, ove nel naso si formavano i ghiaccioli ed era un problema pure pisciare. Figurarsi riscaldamenti e altri lussi di benestanti. Ma non poterono o vollero restarci.
Come tanti odierni marocchini investirono il denaro in una nuova casa e in terreni di una cooperativa cattolica, divorati dalla grande depressione e subito comprati dalla mafia. La patimmo anche noi, come le più recenti crisi finanziarie partite dagli USA.
Allora gli Italiani erano alla pari dei neri, imperavano i wasp, sapete cosa intendo, se è un privilegio di razza ancora oggi, gli eredi di quei razzisti inglesi. E gli italiani, americanizzarono il nome, si camuffarono da inglesi.
Non ebbero miglior sorte nel continente australiano terra di deportazione fino a qualche anno fa dei galeotti inglesi (36 navi nel 1833). Navi stracolme. In Australia l’italiano era e forse è ancora un po’ più su dell’indigeno ritenuto animale e oggi mantenuto nelle riserve. I clandestini odierni sono deportati in un’isola dove restano apolidi e sequestrati a vita.
Noi, sì, nascondiamo l’immondizia sotto il tappeto. Si tace dei transatlantici carichi di migliaia di bambini venduti dalle madri troppo prolifiche e rivenduti come i negri, dal 1887 in Francia a Lione, poi in America latina e dal 1900 all’asta del porto di NY. E c’erano bravi ed esperti acquirenti locali, loschi figuri di negrieri della tratta dei bambini dai dieci ai quindici anni nel porto della Napoli della miseria, scotto dell’unificazione savoiarda, comprati in tutta Italia.
Poveri scafisti odierni, sono dei miserabili rispetto ai transatlantici che partivano stracolmi da Napoli. Si sapeva che ne sarebbero sopravvissuti una parte. Gli altri sarebbe stati cadaveri, cibo per i pescecani dell’Atlantico.
E passiamo all’altro spinoso tema dell’inclusione o con un beato eufemismo dell’integrazione. Il velo è islamico e lo punisce severamente la Francia dell’illuminismo (fine Settecento), e dei principi di civiltà, libertè, legalitè, fraternitè (c’è anche una fraternità cristiana, l’elemosina da parte di diverse sigle, in nome del Cristo della Maddalena, invocato però contro ogni diversità sessuale).
Chi può negare che la moderna migrazione in Italia è una vera e propria invasione. Non dimenticate, Leghisti, che quei Longobardi da cui vi appellate e vi vantate di discendere, come Goti, Ostrogoti,  Visigoti ed Eruli ed altri, avevano una formazione e una cultura acquisita ai confini della romanità.
Quel pugno di circa centomila invasori (dite voi migranti), giurò con Autari fedeltà a Costantinopoli ed impose sì su una buona parte di Italia i propri costumi e le leggi primitive come il guidrigildo, la faida e l’ordalia, stracciando con l’editto di Rotari una tradizione giuridica latina e gli insuperabili codici di Giustiniano.
Gli immigrati africani, come i neri di America, riempiono le carceri italiane: voglio dire che sono sottoposti e subiscono giustamente le norme del nostro codice penale e civile. Anche un turista italiano negli USA è sottoposto alle loro leggi. È diritto internazionale. Sono però una minoranza rispetto all’altra delinquenza più incisiva che proviene dagli Stati della nostra cosiddetta Unione europea.
Ma fa sempre impressione l’uomo nero. Da bambini ci si terrorizzava con la sua immagine che compariva in luoghi da proteggere. E l’Italiano medio, come tutti i benestanti del mondo, è terrorizzato dallo straniero, che lo defrauda di casa e lavoro (quello che lui non farebbe mai, ancor più oggi che crede nel reddito di cittadinanza).
Una volta si mise paura con i comunisti che mangiavano i bambini, poi con il pericolo giallo, sempre per meschine fake elettorali. Bisogna cavalcare le paure del popolo credulone privo di futuro. Trump insegna con la sua America dei muri faraonici, dei bambini separati, degli USA über alles.
La stirpe, la razza. Se si dovesse fare l’elenco dei popoli che inseminarono il Veneto, a cominciare dai profughi troiani! Perciò esclusi i neri cattivi che ci pagano le pensioni, la trovata: diamo cento euro di elemosina ai puri italiani per allevare un figlio. Con i loro trentamila e più euro al mese e altre guarentigie non sanno neppure quanto costino in ansie e denaro.Sembra di vivere sulla luna e di non sapere che la classe media non ne fa perché vuole godersi la vita e gli altri non ci provano perché temono per il loro futuro.
I nostri sedicenti fascisti moderni non conoscono l’intelligenza dell’inventore del regime. Gli Italiani non si fanno pagare per atti dannosi ai loro edonistici diversivi, si piegano solo davanti al bastone, per dire la semplice punizione e mai davanti al premio: Mussolini perciò introdusse la tassa sul celibato.
Ancora mi chiedo se non sono pure io frutto di questo originale incremento demografico. Lo suggerisco ai nostri governanti. Anche pochi euro di multa convincerebbero i recalcitranti.
E per concludere in gloria. Oggi i nostri italiani, anche i Siciliani, hanno una certa fama negli USA. Non ultimo il simpatico Travolta in John Gotti con presentazione del figlio pentito a Cannes.
Un mio importante concittadino si è opposto alla concessione della cittadinanza italiana ad un altro famoso attore che ha impersonato per anni la Sicilia dei padrini e dei Corleone. Ma ci sono stati altri grandi artisti che hanno descritto l’America con l’Italian style, penso a Scorsese e Tarantino.
La nostra terra è altro negli USA. L’eminenza culturale e politica da Capra a Sinatra a DeLillo per fare dei nomi. Se i Siciliani si integrarono bene negli USA, fu solo nel caso del gangsterismo irlandese e la mafia con il pizzo e la droga.
Altri lottarono contro, per tutti Joe Petrosino con la sua lapide a Palermo a piazza Marina. Per Sacco e Vanzetti fu un’altra storia. Sarebbero andati alla sedia elettrica comunque non perché italiani: erano semplicemente attivisti e anarchici, pur se falsamente accusati di omicidio durante una rapina. Non si pretese di integrare gli Italiani, né questi lo fecero.
A New York esistono ancora associazioni e congregazioni di piccoli paesi con le loro processioni folkloristiche e i loro giochi di fuoco, con i San Gennaro e le Madonne del Carmelo (un seguito santuario in Arizona). Un mio compaesano che ha fatto fortuna ha preservato un bel S. Giorgio nostro protettore.
L’America e soprattutto New York non si sono mai sognati di integrare, ma accolgono tutte le tradizioni e costumi, tutti i culti e i riti, non impediscono la costruzione di una moschea come nella moderna civile Milano o la nascondono al Vaticano come a Roma.
E i miei illustri concittadini sono orgogliosi delle loro origini, della loro identità culturale siciliana, che non è la mafia da folklore, e sono venuti a mostrare all’ultima terza generazione la supposta casa dei bisavoli. E altri prizzesi di quarta generazione hanno chiesto la cittadinanza italiana, per sé e per i propri figli, consapevoli delle proprie radici e della propria identità. Che gli USA non hanno mai preteso cancellare, anzi hanno favorito il pluralismo come arricchimento culturale. Il più grande crimine è privare un popolo della sua identità culturale.
La Costituzione americana è stata approvata a Filadelfia dal nucleo dei tredici stati fondatori il 17 settembre 1787 (a 261 anni fa nessuno ne mette in dubbio la sua modernità e bontà): “Noi consideriamo come incontestabili ed evidenti per se stesse le seguenti verità: che tutti gli uomini sono stati creati uguali, che essi sono stati dotati dal Creatore di certi diritti inalienabili, che tra questi diritti sono, in primo luogo, la vita, la libertà, e la ricerca della felicità”.
Mai lode potrà essere adeguata al direttore di questo giornale per avervi posto come occhiello il primo civilissimo e umano emendamento: “I. — Il Congresso non farà alcuna legge per la istituzione di una religione o per proibirne il libero esercizio; o per restringere la libertà di parola o di stampa o il diritto del popolo di riunirsi pacificamente e di rivolgere petizioni al Governo per la riparazione di ingiustizie”.
Carmelo Fucarino (La Voce di New York)

Migrazioni? Nessuna emergenza, sono una costante della storia

Migrazione, accoglienza, integrazione. Sono le parole chiave della “crisi” della nave Ubaldo Diciotti, da tre giorni in stallo al Porto di Catania con a bordo oltre centocinquanta migranti in attesa di conoscere il proprio destino nel braccio di ferro tra il Governo italiano e l’Unione Europea. Ma sono il leit motiv di un’intera fase storica, la nostra, che vede un flusso sempre più robusto di persone in movimento da continenti diversi e Governi occidentali irresoluti nell’affrontarlo. Ma quella delle migrazioni non è affatto una novità. E la fase attuale dev’essere letta alla luce di movimenti simili del passato. Lo dice in quest’intervista ad Hashtag Sicilia il professore Rosario Mangiameli, ordinario di Storia contemporanea al dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Catania.
Professor Mangiameli, la fase migratoria che stiamo vivendo presenta caratteristiche eccezionali o esistono precedenti storici?
“Le migrazioni – emigrazione ed immigrazione – sono sempre state all’ordine del giorno, dagli albori della Storia fino ad oggi. Si trattava di migrazioni armate, come quelle dei Goti, dei Longobardi, degli Unni, dei Mongoli; oppure di migrazioni non armate, dovute alla spinta popolare e alla ricerca di migliori condizioni di vita. Nel mondo contemporaneo nessun Paese, nessuno, è immune da questo fenomeno. Nei momenti di eccedenza della popolazione qualcuno è andato via, poi altri sono venuti aiutando a costruire lo sviluppo. Da questo punto di vista gli Stati Uniti d’America sono l’esempio migliore”.
Proprio verso gli Stati Uniti, in un passato non troppo lontano, si misero in viaggio tanti emigranti italiani.
“Ma in Italia abbiamo avuto anche un fenomeno di migrazione interna: si emigrava non solo per andare in America, in Argentina, in Australia, ma anche dal Sud verso il Nord Italia. E questo è molto importante, perché ci ricorda un fatto: le migrazioni hanno sempre suscitato la paura del diverso. I terroni erano sporchi e delinquenti, gli italiani d’America tutti mafiosi. Era vero che ce n’erano, di mafiosi, ma non che lo fossero tutti, come non sono tutti terroristi gli islamici, come non sono tutti delinquenti gli albanesi. In tutti i popoli vi sono invece grandi lavoratori che hanno contribuito al benessere del Paese che li ha ospitati”.
Che tipo di soluzioni adottarono questi Paesi per volgere a loro vantaggio i flussi migratori del passato?
“Usarono la logica. La risposta non è certo fermare l’immigrazione, che tanto ritorna sempre sotto forma clandestina. La risposta è legalizzarla. Il periodo migliore dell’America democratica fu quello di Roosevelt, che con il New Deal riconobbe la cittadinanza agli immigrati stranieri che si trasformarono in una grande risorsa democratica ed economica per gli USA, tirandoli fuori dalla crisi. Affrontare questi temi con apertura è la cosa più importante”.
La nostra Catania vive in questi giorni una fase drammatica con la crisi della nave Diciotti, tuttora in stallo nel nostro porto.
“Innanzitutto vorrei salutare ed unirmi idealmente agli amici che ieri hanno portato l’arancino ai migranti. Se fossi stato a Catania mi sarei unito volentieri. Anche riguardo a questa crisi, andrebbe ribadito che l’immigrazione di per sé non è un’emergenza, ma un fatto assolutamente assorbibile. Potrebbe essere gestita senza bisogno di creare allarmi, che invece servono a scopi specifici”.
Quali sono questi scopi?
“Anzitutto la strumentalizzazione politica sulla paura del diverso. E poi c’è un obbiettivo economico, quello di avere manodopera a basso costo, senza diritti, da sfruttare. Sono proprio coloro che sfruttano queste persone a voler creare la spaccatura tra i lavoratori creando divisione ed allarme sociale. Chi rifiuta l’immigrazione legale vuole quella clandestina, che poi può essere sfruttata. Con una regolarizzazione si avrebbero situazioni diverse nel mercato del lavoro”.
Secondo molti la responsabilità di questa situazione è europea. E si invoca un ritorno alla sovranità nazionale.
“Non c’è dubbio che si registri una mancanza dell’Europa. Oggi di fatto non esistono più gli Stati sovrani, essendo parte di questa sovranità passata all’Unione Europea. Ma questa è una necessità in un’economia globalizzata, che vede attori economici a volte più potenti degli stessi Stati. Uno Stato normale, in queste condizioni, non riesce più ad essere un regolatore dell’economia. Anche con la vecchia lira saremmo insufficienti. Sovranismo e nazionalismo sono utopie reazionarie”.
Cosa dovrebbe fare dunque l’Europa?
“Un passaporto europeo per chi sbarcasse da noi potrebbe essere una soluzione. Non parlo di cittadinanza, che arriverebbe eventualmente in seguito: sarebbe un documento d’identificazione europeo, riconoscibile tramite le reti informatiche, che permetterebbe a queste persone di circolare liberamente senza essere confinate nei ghetti, per le strade e ai semafori, cadendo spesso nelle mani della criminalità organizzata”.
Professore, se si trovasse di fronte il Ministro Salvini cosa gli direbbe in merito a questa crisi e alla sua gestione?
“Da catanese lo inviterei ad essere più tollerante; da cittadino lo richiamerei ad una maggiore misura delle parole. Ieri il Ministro ha detto che i minorenni della Diciotti sarebbero sbarcati, mentre gli altri possono attaccarsi. Ma che linguaggio è? Mi sembra che nostri governati, in testa il Ministro degli Interni, stiano cercando di distruggere attraverso il linguaggio il nostro sentimento democratico. Bisogna moderare i termini e tornare alla lingua della Costituzione italiana”.
DAL SITO WWW.HASTAGSICILIA.IT

"Marinesi nel mondo": convegno al castello Beccadelli

L'emigrazione dei nostri nonni di fine Ottocento, ma anche quella dei giovani di oggi. La festa di San Ciro e le sue radici, salde nel passato, ma anche le nuove opportunità che si possono creare in una società in continua evoluzione, per costruire un futuro all'insegna della fratellanza tra i popoli. Saranno questi i temi al centro della giornata dei “Marinesi nel mondo” in programma per lunedì 20 agosto, alle ore 17, nella sala conferenze del Castello Beccadelli di Marineo. L'evento è organizzato congiuntamente dal Comune di Marineo e dal Museo delle Spartenze, istituzione nata con lo scopo di offrire la documentazione della esperienza migratoria che ha coinvolto la provincia di Palermo, in particolare le popolazioni dei centri abitati compresi nell’area geografico-culturale dominata dalla Rocca Busambra. Il programma prevede i saluti di Franco Ribaudo, sindaco di Marineo e di Francesco Schimmenti, superiore della Confraternita di San Ciro, gli interventi di Franco Vitali, antropologo, di Santo Lombino, direttore scientifico del “Museo delle Spartenze dell’area di Rocca Busambra” e di Salvo Cuccia, regista del documentario "La Spartenza" di Abra&Cadabra e RAI Cinema. Prevista la proiezione di inedite immagini della “Dimostranza” di San Ciro girate nel 1955 da Tommaso Bordonaro, autore del noto libro-diario “La spartenza”. A conclusione del convegno, l’Amministrazione comunale e la cittadinanza incontreranno gli emigrati presenti a Marineo nei giorni della festa di San Ciro.

San Ciro nella Little Italy di New York

Sul finire dell'Ottocento, i primi emigrati di Marineo diedero vita ad una colonia a Elizabet Street, nei pressi della Little Italy di New York. Presto costituirono un loro sodalizio: lo statuto della Società Religiosa San Ciro venne ufficialmente approvato il 27 agosto 1905. Un dollaro era la tassa di ammissione e venticinque centesimi di dollaro al mese dovevano essere versati come rata mensile dai soci. Come in tutte le associazioni di mutuo soccorso era prevista l’assistenza per i nuovi arrivati, a partire dalla sistemazione in una abitazione e dalla ricerca di un primo lavoro. Molti sodalizi creavano e mantenevano fondi finanziari che assicuravano un prestito ai soci in difficoltà economica che ne facevano richiesta. Nel 1909 in una vetrina di un negozio di Manhttan, fece la sua comparsa una statua d’argento di San Ciro. In quei locali si incontravano i fondatori della società religiosa per organizzare le prime feste comunitarie. Il culto del santo patrono fu, infatti, uno dei vincoli più forti sul piano emotivo, in grado di legare i primi immigrati di Marineo gli uni agli altri e al paese di origine. La religione e il sodalizio in nome del santo protettore rimasero per lungo tempo l’unico punto di riferimento per la comunità e l’unico sostegno nei momenti di difficoltà per i singoli individui. Già a partire dai primi anni del Novecento, l’ultima domenica di gennaio si celebrava la cosiddetta “festa povera”. Mentre nel mese di agosto, di solito il secondo week-end, si svolgeva la “festa ricca”, che prevedeva tre giorni di manifestazioni, dal venerdì alla domenica. Le funzioni religiose si celebravano all’interno della chiesa italiana della Madonna di Loreto, mentre le strade e i blocchi della piccola Italia facevano da cornice ad una partecipatissima  processione.

I pacchi dono dall'America dell'immediato dopoguerra

I bombardamenti Americani nel 1943 erano stati devastanti per la città di Palermo. Molti dei residenti, preavvisati dalle sirene, per interminabili giorni avevano trovato rifugio nei vari ricoveri allestiti in centro. Altri, per scampare al pericolo, si erano nascosti nelle grotte dietro la chiesa San Ciro di Maredolce.  Indubbiamente, le conseguenze economiche della guerra sono state molto sentite dalla nostra popolazione: famiglie numerose, che già in passato avevano stentato a tirare avanti, adesso soccombevano alla più crudelle miseria per mancanza di lavoro, di cibo e di vestiario. L'emigrazione italiana nelle Americhe, che era stata di cospicue dimensioni a partire dalla seconda metà dell'Ottocento fino ai primi decenni del Novecento, quasi si era esaurita nel ventennio fascista, ma ebbe una notevole ripresa subito dopo la Seconda guerra mondiale. Infatti, proprio in quel periodo, diversi capofamiglia lasciaronono la nostra terra ed emigrarono verso luoghi lontani, dove più facilmente potevano trovare sostentamento. Chi restava e poteva coltivare un orticello riusciva a sfamarsi con quel poco che la terra produceva e veniva perfino invidiato dagli abitanti del capoluogo, che cercavano di spostarsi nei paesi della provincia alla ricerca di un parente o conoscente, nella speranza di racimolare qualcosa da portare a casa per i propri cari. Erano tempi duri, trascorsi a sperare per una rapida ripresa economica. Chi aveva un parente in America, a volte, riceveva un pacco inviato da chi conosceva la situazione di crisi italiana consapevoli dell'aiuto che potevano dare ai loro congiunti, anche con un piccolo dono. Era facile negli Stati Uniti ottenere vestiario vario a buon prezzo. A New York, per esempio, esisteva un quartiere  nella bassa cittá del lato est, conosciuto come Orchad street, dove nelle bancarelle del mercato all'aperto gestito dagli ebrei si trovava un po’ di tutto, con la possibilità di mercanteggiare sul prezzo. Ricordo che a mia zia Rosaria, che viveva a Marineo, una volta dall'America ricevette un pacco come tanti che ne arrivavano in paese. Con trepidazione ne svuotò il contenuto apprezzando ogni capo di vestiario. Ad un certo punto si trovò fra le mani un indumento misterioso, a lei assolutamente sconosciuto: dopo averlo girato, rigirato ed esaminato per alcuni interminabili minuti, di colpo si rese conto della sua utilità. Così, tagliò il laccio che univa le due parti (del reggiseno) per ricavarne due... "coppole": una per mio cugino Vincenzo e l'altra per suo fratello Totó. Ciro Guastella

Museo delle Spartenze: i nostri contatti su Facebook e Twitter

Il sito del Museo delle Spartenze (http://www.museospartenze.com) ha raggiunto quota 10.000 visualizzazioni in un solo mese. Da oggi, alla pagina di Facebook @museospartenze, abbiamo aggiunto anche un profilo su Twitter, che trovate con il nome @spartenze. Attraverso questi mezzi potete tenervi aggiornati sulle attività del museo, leggere i commenti, partecipare alle discussioni e sostenerci. Per condividere gli articoli basta cliccare (sotto) sull'icona del social preferito.

La traversata transoceanica 1880-1915

"Figuratevi cinquecento persone ammassate in uno spazio di altrettanto metri cubi d'aria, con una ventilazione insufficiente in condizioni normali, più insufficiente allora, perchè gli hoblots a murata del corridoio inferiore erano rasenti alla linea d'acqua e gli altri con il mare agitato non si potevano aprire... E' il soverchio ammassamento, che fa dei piroscafi nazionali non trasporti di passeggeri, ma trasporti di carne umana. L'uomo viene considerato merce che va nella stiva diligentemente, fin nelle ultime frazioni di metro cubo, che la stazzatura rende disponibile a bordo; che poi la merce così trasportata presenti qualche avaria poco importa". Con questa frase il Conte Ferruccio Macola, in viaggio verso il Brasile sul piroscafo Washington, ci descrive le terribili condizioni in cui versavano gli emigranti sui bastimenti verso il Nuovo Mondo. Il viaggio in nave durava circa un mese. I passeggeri, dopo esser saliti a bordo, dovevano affrontare una traversata molto dura, piena di disagi e sofferenze: c’era il pericolo di naufragio o di ammalarsi di una malattia contagiosa a causa dell’affollamento e della sporcizia.Oltre al trauma e alle sofferenze del distacco dalla loro terra, dovevano affrontare un viaggio lungo e non privo di disagi. I migranti venivano stivati in terza classe, in condizioni miserevoli, prive d’igiene e in luoghi dove non era consentita alcuna privacy. I pasti venivano distribuiti negli spazi comuni di ciascun compartimento per gruppi di sei persone, una delle quali a turno è incaricata del ritiro delle vivande dalla cucina: “Accovacciati sulla coperta, presso le scale, con i piatti tra le gambe, e il pezzo di pane tra i piedi, i nostri emigranti mangiavano il loro pasto come i poveretti alle porte dei conventi. E’ un avvilimento dal lato morale e un pericolo da quello igienico, perché ognuno può immaginarsi che cosa sia una coperta di piroscafo sballottato dal mare sul quale si rovesciano tutte le immondizie volontarie ed involontarie di quella popolazione viaggiante”. I dormitori degli emigrati erano ambienti stretti, sporchi, privi di luce e aria. Nel primo decennio del Novecento, accadeva ancora che, per speculare sui flussi migratori, le compagnie adibissero le stive dei bastimenti a dormitori. Inoltre le compagnie di navigazione non differenziavano la tipologia delle loro navi e le adibivano sia al trasporto di merci che di uomini. In questi luoghi era frequente l'insorgere di malattie ed epidemie. Nei primi anni del ‘900 per il trasporto degli emigrati venivano ancora usati vecchi piroscafi privi di essenziali requisiti di sicurezza e di igiene. Quando cominciano a essere attivati i dispostivi di tutela previsti dalla legge del 1901 sul trasporto per il mare degli emigrati, avviene un progressivo ammodernamento delle flotte usate per il loro trasporto. Questa legge istituiva ispettorati di emigrazione in ciascun porto d’imbarco e commissari viaggianti da scegliere tra gli ufficiali medici della Marina. Il compito di questi commissari consisteva nell’accertarsi che le navi possedessero tutti i requisiti di sicurezza e igiene e inoltre dovevano essere i garanti della salute degli emigranti imbarcati. Sono state però soprattutto le restrizioni messe in atto dagli Stai Uniti a costringere le flotte marittime a ritirare, dal trasporto degli emigrati, i vecchi piroscafi. Inoltre veniva consentito lo sbarco soo alle navi in regola con le norme sanitarie e di sicurezza. Giusi Scibetta

Dal 2008 al 2016 mezzo milione di italiani all’estero

Un esercito di 509.000 connazionali si è cancellato dall'anagrafe per trasferirsi all'estero per motivi di lavoro tra il 2008 e il 2016. Lo rivela il rapporto "Il lavoro dove c'è" presentato oggi a Roma dall'Osservatorio statistico dei Consulenti del lavoro. La prima destinazione degli italiani in fuga dalla crisi è stata la Germania, dove nel solo 2015 in 20mila hanno trasferito la residenza; al secondo posto la Gran Bretagna (19mila) e al terzo la Francia (oltre 12mila). Mobilità in crescita anche all'interno del territorio nazionale: in 7 anni oltre 380mila residenti si sono trasferiti dal Mezzogiorno verso le regioni del Centro-Nord.

Italiani ( e stranieri) "in fuga" dalla crisi
L'esodo occupazionale degli italiani verso l'estero, si legge nel dossier dei Consulenti, ha subito un significativo incremento a partire dal 2012, anno in cui a fare le valigie erano state 236.160 persone, cifra salita a 318.255 nel 2013 e a 407.114 nel 2014, per poi superare il mezzo milione nel 2015. Ma non sono stati solo gli italiani ad abbandonare la penisola: tra il 2008 e il 2016 quasi 300mila cittadini dell'Est dell'Europa, in particolare romeni, polacchi, ucraini e moldavi, sono tornati in patria perchè il costo del trasferimento di residenza nel nostro Paese «non era più giustificato dai redditi da lavoro percepiti».

Oltre 380mila "emigrati" da Sud a Centro-Nord
Resta inoltre evidente il divario Nord-Sud, che spinge ancora molti italiani a cercare lavoro oltre i confini regionali. Dal 2008 al 2015, dice il rapporto, la disoccupazione nel Mezzogiorno «ha prodotto un aumento di 273mila residenti al Nord e di 110mila al Centro», per un totale di 383mila persone andate via dalle regioni del Sud. I flussi migratori più intensi sono stati quelli da Campania (-160mila iscritti all'anagrafe dei comuni), Puglia e Sicilia (-73mila). Le regioni che hanno ricevuto il numero maggiore di cittadini sono Lombardia (+102mila), Emilia Romagna (+82mila), Lazio (+51mila) Toscana (+54mila).

Il 54% degli occupati lavora nel suo comune di residenza
Il rapporto mette in evidenza come negli ultimi anni il lavoro nelle città di residenza sia diminuito e le opportunità siano distribuite in maniera non omogenea sul territorio. Lavorare nel comune di residenza sembra, infatti, un «privilegio» riservato agli occupati tra i 15 ed i 64 anni residenti in 13 grandi comuni con oltre 250 mila abitanti. Tra questi comuni -spiega il rapporto - Genova, Roma e Palermo registrano nel 2016 oltre il 90% di occupati residenti , mentre più di un occupato su dieci lavora in una provincia diversa da quella di residenza.

Pendolari, Milano epicentro degli spostamenti interprovinciali
Sul fronte del pendolarismo quotidiano tra provincia e provincia, i dati dicono che Milano è l'epicentro degli spostamenti interprovinciali in Italia, soprattutto per le sue brevi distanze, l'intensità delle occasioni di lavoro ed i servizi di trasporto efficienti. In particolare, la provincia di Monza e Brianza contribuisce all'economia del capoluogo lombardo con 118 mila occupati (6,9%), seguita da Varese con 59 mila (3,5%), Bergamo con 48 mila (2,8%) e Pavia con 34 mila (2%).

All'estero si guadagna mediamente 500 euro in più
Spostarsi presso una provincia confinante, dice il rapporto, comporta un aumento dello stipendio medio di circa 181 euro (+14% rispetto a coloro che lavorano nella provincia di residenza). Se la distanza aumenta e si deve raggiungere una provincia non confinante, il compromesso medio fra costi e benefici richiede un aumento dello stipendio netto di circa 340 euro (+26,4%). Se, invece, si va a lavorare all'estero, la differenza fra lo stipendio medio di chi lavora nella stessa provincia e di chi emigra per lavorare supera i 500 euro (+43,8%).
Alessia TRIPODI, Il Sole 24 ore