Oh Italia


Oh Italia,
l’Italia che fu in grado di asciugare
le lacrime di una madre che piange il suo
bambino nel deserto.
una madre che piange mentre i trafficanti
la torturano
come fosse il pasto del giorno.
Oh Italia,
l’Italia che ha salvato l’umanità
per mani dei volontari sul mar Mediterraneo
Oh Italia,
l’Italia che mi ha accolto sulla sua terra,
quando ero senza terra.
l’italia che mi ha dato le scarpe,
quando ho camminato scalzo.
l’Italia che mi ha vestito,
quando ero senza vestiti.
Oh Italia,
l'Italia che mi ha curato
quando ero malato.
L’Italia che mi ha protetto,
quando ero senza riparo.
L’Italia dove rinasce la mia coscienza
portata via nei paesi del deserto.
Oh Italia,
l'Italia che mi mostra la via per il futuro,
l’Italia che mi offre la strada per il successo
Pensi che ti deluderò?
No, non lo farò, non sarò ingrato.
Oh Italia,
dalle belle città,
dalle belle donne e bellissime spiagge,
l’Italia che mi da ancora una speranza,
pensi che ti abbandonerò?
No, ti sosterrò alla radice della tua bella pianta.
L’Italia che mi spinge
al mio bellissimo sogno,
che sogno,
che sogno…
         Thiam Habib

Questa poesia è stata scritta da Thiam Habib, giovane proveniente dalla Guinea, che ha attraversato il deserto del Sahara e si è imbarcato su un gommone in Libia. Sbarcato l’anno scorso in provincia di Trapani, ha richiesto asilo al nostro paese e vive in una comunità di accoglienza a Bolognetta. Frequenta il liceo linguistico presso l’Istituto superiore “Regina Margherita” di Palermo. 

Palermo: gli indù e Santa Rosalia

La realtà palermitana, da anni ormai molto variegata, è fortemente interessata anche dalla  comunità induista. Essa si compone di due gruppi: uno proveniente dall’isola di Mauritius e l’altro dallo Sri Lanka, noto come Tamil. I Mauriziani sono spinti ad abbandonare la propria terra per motivi di ordine economico, invece, i Tamil, emigrano dalla propria terra perché costretti dalla guerra e dalla conseguente crisi economica. Ciò che accomuna i due gruppi è la fede religiosa, l’induismo: i due gruppi formano un’unica comunità proprio per “l’aderenza al dharma” che ne costituisce l’elemento identitario. Gli hindu di Palermo soffrono del fatto che non sia mai stato concesso loro un luogo di culto, perché ciò s’identifica con un non riconoscimento della loro identità. Si è assistito al riadattamento della religiosità della società di accoglienza al proprio universo religioso, attraverso la pratica del culto di Santa Rosalia. Alla base del culto vi sono due fondamentali tratti della cultura indù: la pratica della tirtha-yatra o del “pellegrinaggio” ai guadi sacri e il culto della dea madre. Il culto di Santa Rosalia si rivela come un caso di adattamento della propria religiosità a quella della società di accoglienza. I pellegrinaggi sono praticati rigorosamente a piedi, il più delle volte scalzi, alla ricerca del silenzio e dell’ascesi verso il sacro, ma volti anche al conseguimento di una purificazione da ottenere attraverso l’azione penitenziale, la fatica e il sacrificio necessari per accostarsi al sacro. Secondo le testimonianze di alcuni tamil, il rituale dell’acchianata nel giorno di Santa Rosalia è poco valorizzato dalla comunità, a causa dell’eccessiva affluenza di gente che disturberebbe fino a rendere vana l’ascesi stessa, il cui scopo è il raggiungimento di una dimensione ‘altra’, ed il cui elemento connotativo principale è proprio la pace, da raggiungere attraverso il silenzio e la preghiera. La venerazione dei santi vale a surrogare ed a vincere le difficoltà quotidiane, e nello stesso tempo a rifondare il senso dell’identità comunitaria, e a non fermarsi agli aspetti esteriori delle religioni ma coglierne la funzione, che è quella di “raggiungere le coscienze, di tonificarle e di disciplinarle” (Durkheim 1960).
Onorina Agnello

La Sicilia terra di frontiera

Il fenomeno dell’immigrazione si è affermato in questi anni come nodo cruciale per ogni serio tentativo di comprendere, e possibilmente prevedere, le dinamiche di sviluppo delle società contemporanee. A partire dagli anni novanta i flussi migratori, verso il nostro Paese si sono significativamente intensificati rendendo l'Italia uno dei punti primari di approdo E' in quegli anni che l'opinione pubblica presta sempre più attenzione al fenomeno diventando tema di dibattito sociale, anche se, in questa fase, il fenomeno riguarda ancora aree limitate.  Successivamente, il fenomeno ha comportato l’assunzione di stereotipi e generalizzazioni con il risultato di considerare la presenza dello straniero  come un tema molto spinoso o come pericolo e  minaccia all’integrità della identità nazionale. Infatti, molti sono i commenti  negativi riguardo agli sbarchi di clandestini sulle coste del Meridione, centinaia sono i giudizi di condanna di fronte a notizie di cronaca nera che vedono coinvolti gli immigrati. Il fenomeno delle migrazioni ha interessato soprattutto la Sicilia che, fin dagli anni ’60 del secolo scorso, data la sua centralità e la sua storia millenaria, è stata sempre crocevia di migranti proveniente dall’Europa, dall’Asia e dall’Africa. I primi movimenti migratori risalgono agli anni seguenti il terremoto del Belice, nel 1968, soprattutto nelle zone del trapanese ed a Mazara del Vallo, dove gli immigrati trovarono occupazione nei settori agricoli e nella pesca. Negli anni ’70 si assiste ad un mutamento delle traiettorie di provenienza dei flussi perché riguardano in preminenza donne di origine africana o filippine, attratte da alcuni settori del mercato (collaborazione domestica). La mobilità verso la Sicilia, nell’ultimo decennio, ha conosciuto il volto peggiore della globalizzazione, date le politiche di chiusura e respingimento nei confronti dei migranti da parte dell’Europa. A partire dal 2011 la Sicilia  è diventata uno dei principali fortini da protezione della trincea di guerra che il capitalismo globale e la fortezza Europa affrontano contro i migranti, com’è testimoniato dalla numerosa presenza di CPTA (centri di accoglienza di  permanenza temporanea), dall’inarrestabile cronaca di morte dei migranti naufragati o uccisi nel canale di Sicilia o, come è accaduto nel Deserto Libico, dalle politiche di respingimento dei migranti da parte  italiana a seguito di uno specifico accordo con la Libia.  L’impreparazione ad accogliere e ad inserire in schemi ben codificati, all’interno della propria struttura, individui provenienti in massa dall’esterno,  mette in crisi le città. Questa impreparazione si trasforma spesso nel rifiuto dell’altro provocando situazioni di marginalità non solo sociale, economica e politica ma anche spaziale in quanto, nella maggior parte dei casi, i loro spazi abitativi sono situati in zone periferiche o degradate. 
Onorina Agnello

Le donne e la migrazione

L’emigrazione è stata tradizionalmente descritta come un’esperienza al maschile, trascurando il flusso migratorio delle donne, a lungo giustificata con la scarsa considerazione del loro vissuto. Diverse per provenienza, progetto migratorio, età e posizione nella famiglia, la maggior parte di esse, avevano alle spalle le medesime esperienze: vissute in un mondo patriarcale dominato da rigidi rapporti di autorità, nessuna dimestichezza con la scrittura, nessuna conoscenza linguistica. L’adattamento alla nuova realtà fu difficile, faticoso e lento ma anche foriero, se non di emancipazione, di profondi mutamenti nella loro vita e nelle loro aspirazioni.
 Appare piuttosto elevata la percentuale di donne, spesso ragazze e bambine, che si imbarcano per il Nuovo Mondo. A livello nazionale verso gli Stati Uniti, la presenza femminile fu consistente e in continuo aumento: dal 21,1% degli anni 1881-1890, al 30,6% nel 1911-20 per raggiungere quasi il 40% negli anni tra il 1921 e il 1930. Le partenze maschili erano maggiori rispetto a quelle femminili. Analizzando un campione di 1203 migranti, dal paese di Villafrati, che partì negli anni tra il 1892 e il 1924, il 61% è di genere maschile e il rimanente 39% è di genere femminile. Si può osservare, dunque, che nel primo periodo la percentuale maschile di emigranti è pari al 61% e resta tale anche nel secondo periodo. Lo stesso accade per quanto riguarda la percentuale riguardante l’emigrazione femminile che è pari al 39%, sia nel primo che nel secondo periodo.
È interessante rilevare che il 74% delle donne partono nel secondo periodo, ovvero quando l’adozione di diversi provvedimenti, dal 1917 al 1924, convinse molte donne ad avviare le pratiche di ottenimento del passaporto per sé e i propri figli minori, in quanto i figli maggiorenni, in tempi precedenti, avevano già raggiunto il genitore. Le donne partirono con la prospettiva di restare segnando una tendenza ben visibile a partire dall’inizio degli anni ’20 quando la rigidità delle frontiere interruppe il regolare andirivieni degli uomini e rafforzò la scelta di stabilirsi all’estero.
Sia che fossero emigrate sole, in gruppo o con la famiglia, sia che la loro scelta fosse autonoma o che partissero in seguito ad una decisione maschile, l’abbandono del paese natale, la vita e il lavoro in un paese lontano indussero mutamenti profondi nella loro vita e nelle loro aspirazioni.
Le donne giovani e le ragazze erano le più desiderose di lasciarsi alle spalle le fatiche dei lavori dei campi e la rigida sorveglianza della famiglia e della comunità. Molte di loro partirono per raggiungere parenti o per sposare un connazionale che molto spesso conoscevano solo attraverso una fotografia.
Onorina Agnello