Gli italiani hanno la memoria corta. Chi oggi si meraviglia dei flussi migratori “irregolari”, che hanno uno dei loro primi approdi nei porti e nelle coste siciliane, ha dimenticato che 50 anni fa “irregolari”sono stati molti nostri connazionali. C’è un libro, tra i tanti, che ha documentato in modo vivo e inoppugnabile il carattere clandestino di gran parte dell’emigrazione siciliana in Germania nei primi anni 60 del 900. Questo libro, scritto da Stefano Vilardo, s’intitola TUTTI DICONO GERMANIA GERMANIA e costituisce un documento prezioso della storia del suo paese, Delia (CL), oltre che un coraggioso atto di denuncia delle ragioni che costrinsero centinaia di migliaia di siciliani, in quegli anni, ad emigrare clandestinamente. La prima edizione del libro venne pubblicata nel 1975 dall’Editore Garzanti con una breve ma densa introduzione di Leonardo Sciascia. Scomparso dalla circolazione , malgrado la sua straordinaria attualità, il volume è stato riproposto nel 2007 da Sellerio. Chi scrive ne sta ricostruendo la genesi, dal momento che l’autore ci ha permesso di prendere visione delle originali bobine nelle quali registrò le interviste agli emigrati del suo paese natale. Pur avendo rielaborato poeticamente le testimonianze di questi ultimi, Vilardo è rimasto fedele alla lettera e allo spirito delle parole dei suoi compaesani. Una prima anticipazione della ricerca, tuttora in corso, è stata data nel saggio Poesia e storia in “Tutti dicono Germania Germania” di Stefano Vilardo presentato ad un Convegno Internazionale di Studi svoltosi nel 2010 all’Università di Cagliari e in un articolo pubblicato recentemente nella rivista telematica Dialoghi Mediterranei: http://www.istitutoeuroarabo.it/DM/la-voce-degli-emigrati-in-poesia/. A questi lavori si rimanda chi volesse saperne di più. Di seguito alcuni brani delle 42 storie raccontate nel libro. (fv)
Sono partito per la Germania / il due ottobre del millenovecentosessantuno / che qui non potevo più campare /io e la famiglia con quattro bambini / Sono partito da clandestino / e non ho passato le montagne a piedi come tanti altri / ma d’intrallazzo con le macchine / Centomila lire mi è costato / denari prestati al vento per cento / ma Dio mi ha aiutato / e ora alla posta ho qualche milione. (Stefano Vilardo, Tutti dicono Germania Germania. Poesie dell’emigrazione, Sellerio 2007, pag . 19).
Partii per la Germania da clandestino / Per attraversare le montagne / feci dodici ore di cammino a piedi / soffersi molto ma appena arrivato / mi imbocciai in una fabbrica di prodotti chimici / Lavoravo a riempire fusti di acido / un giorno per poco non ci lasciai un occhio / chè una goccia mi schizzò in faccia […] Ci capiamo a gesti / a mano a mano gli rubiamo qualche parola / ma a me mi fanno schifo / ché ci trattano peggio dei cani / un giorno che entrai in un caffè con gli amici / che volevamo berci una bottiglia di birra / ci buttarono fuori a pedate. ( Sellerio, pp.47-48)
Molto prima d’emigrare lavoravo la terra / la lasciai ché non mi dava più da campare / e mi misi a fare il manovale /Insomma mi guadagnavo la giornata / poi un sommatinese mi convinse / a partire con lui per la Germania /Arrivammo a Ventimiglia / in venti persone tutte deliane / Per passare la frontiera / ci portarono per le montagne / in mezzo ai boschi / attenti alla Finanza / Non riuscimmo a passare / l’altra guida che doveva arrivare con le macchine / non venne / e noi restammo in mezzo alle montagne /senza acqua né pane / Allora un mio amico che aveva fatto più volte quella strada / mi portò con lui / Riuscimmo a passare / c’era la neve più alta di un metro / camminavamo con la bocca / ché non riuscivamo a stare dritti / tutti bagnati / mezzo soffocati dal vento / ma gli altri compagni li bloccò la polizia / A Grenoble trovammo dei paesani / che ci ricoverarono / e l’indomani ci portarono al lavoro / In Francia stavo bene / ma un mio amico mi disse / che in Germania pagavano meglio / allora andiamo a vedere / Passammo clandestinamente / di notte / alle due / Attendemmo dentro un cimitero che si facesse notte / so io la paura che mi presi (Sellerio, pp.80-81)
Partii da clandestino / con diversi paesani e sommatinesi e favaresi / Passammo le montagne / così alte che facevano spavento / Sette giorni di fame /che ci nutrivamo con la neve / Camminavamo di notte / per la paura che la polizia ci scoprisse ( Ibidem, pp.109-110)
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Non riuscivo a campare qui /Lavoravo in miniera a Ramilia / per un salario di fame / Il padrone il cavaliere Sala /ci faceva sempre scioperare /affinché la regione gli desse i contributi /Soldi sempre soldi /era come un pozzo senza fondo / ma a noi non lasciava che le briciole. ( Sellerio pag.31)
Uno scappa di casa e va all’estero / per i bisogni della famiglia / per risolvere il problema della casa / per amore dei figli per se stesso. / Solo come un cane / si mette sopra un treno / che lo porta in terre mai viste / tra gente che non conosce / e quando arriva è la cosa più brutta del mondo / chè uno non sa parlare non capisce. […]. È per questo che scappiamo all’estero / è per campare i nostri bambini. ( Sellerio pag.33)
Partii per la Germania / nel mese di novembre del sessantatré / e mi sembrò di essere andato all’inferno / […] /E’la lingua che non ci aiuta / Io mi faccio i fatti miei / E’ dal cinquantanove che vado e vengo / e ancora non capisco niente / Non parlo e lavoro come un mulo / allora mi rispettano/ Bisogna lavorare e stare zitti / […] Ritorno dal lavoro stanco morto / e arrivato in baracca devo cucinarmi / e lavarmi la roba e rattopparla / chi ha tempo di pensare alle donne / E’ vita questa / Vita di sacrifici / Ma io dico / che sempre noi dobbiamo farli questi sacrifici / ché siamo figli di puttana / muli siamo senza padre né madre (Sellerio, pag.26)
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