Palermo: gli indù e Santa Rosalia

La realtà palermitana, da anni ormai molto variegata, è fortemente interessata anche dalla  comunità induista. Essa si compone di due gruppi: uno proveniente dall’isola di Mauritius e l’altro dallo Sri Lanka, noto come Tamil. I Mauriziani sono spinti ad abbandonare la propria terra per motivi di ordine economico, invece, i Tamil, emigrano dalla propria terra perché costretti dalla guerra e dalla conseguente crisi economica. Ciò che accomuna i due gruppi è la fede religiosa, l’induismo: i due gruppi formano un’unica comunità proprio per “l’aderenza al dharma” che ne costituisce l’elemento identitario. Gli hindu di Palermo soffrono del fatto che non sia mai stato concesso loro un luogo di culto, perché ciò s’identifica con un non riconoscimento della loro identità. Si è assistito al riadattamento della religiosità della società di accoglienza al proprio universo religioso, attraverso la pratica del culto di Santa Rosalia. Alla base del culto vi sono due fondamentali tratti della cultura indù: la pratica della tirtha-yatra o del “pellegrinaggio” ai guadi sacri e il culto della dea madre. Il culto di Santa Rosalia si rivela come un caso di adattamento della propria religiosità a quella della società di accoglienza. I pellegrinaggi sono praticati rigorosamente a piedi, il più delle volte scalzi, alla ricerca del silenzio e dell’ascesi verso il sacro, ma volti anche al conseguimento di una purificazione da ottenere attraverso l’azione penitenziale, la fatica e il sacrificio necessari per accostarsi al sacro. Secondo le testimonianze di alcuni tamil, il rituale dell’acchianata nel giorno di Santa Rosalia è poco valorizzato dalla comunità, a causa dell’eccessiva affluenza di gente che disturberebbe fino a rendere vana l’ascesi stessa, il cui scopo è il raggiungimento di una dimensione ‘altra’, ed il cui elemento connotativo principale è proprio la pace, da raggiungere attraverso il silenzio e la preghiera. La venerazione dei santi vale a surrogare ed a vincere le difficoltà quotidiane, e nello stesso tempo a rifondare il senso dell’identità comunitaria, e a non fermarsi agli aspetti esteriori delle religioni ma coglierne la funzione, che è quella di “raggiungere le coscienze, di tonificarle e di disciplinarle” (Durkheim 1960).
Onorina Agnello

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