1962. Gastarbeiter, dalla Sicilia in Germania

Siamo già alla fine dell’anno 1961 e Bolognetta sembra non essere per nulla cambiata: sempre vuota, senza risorse in particolar modo per un giovane che non ha studi e senza alternativa. La maggior parte dei giovani lavora nei campi non per passione, ma perché è stata educata all’attaccamento ad essi, quindi si sente come figlio della terra; per la terra soffre, lotta, fa di tutto per non abbandonarla. Ma è una lotta lunga e penosa e senza speranza; per molti significa rinuncia assoluta. Tutti notiamo che chiunque si allontani da essa conduce una vita agiata, migliore, così aspettiamo l’occasione buona per abbandonare ciò che i nostri padri hanno gelosamente custodito. All’improvviso, come tuono a ciel sereno, ecco l’occasione tanto desiderata! E il settembre del 1961: un signore di Bolognetta si interessa perché nel nostro paese venga realizzato un corso per carpentieri in legno. I diplomati avranno facoltà di poter lavorare all’estero, nella Repubblica Federale Tedesca, per circa sei mesi. Presi dall’entusiasmo, un gruppo di giovani volenterosi ci incamminiamo verso un nuovo mondo: quello dell’edilizia, invero non troppo convinti dei risultati che potevamo conseguire; ci aggrappiamo a questo solo e unico filo di speranza, come il naufrago a dei relitti, consci che non reggerà a lungo. Il corso si apre all’insegna della buona volontà e con tanti programmi e illusioni. Il corso ha buona conclusione: 15 su 17 ci qualifichiamo, due risultano aiutanti. Ora adoperiamoci per ottenere al più presto il passaporto e poi... Poi via libera! Non vediamo l’ora di guadagnare per poter agevolare nostre famiglie e per appagare qualche nostro desiderio. Dopo una lunga attesa, il 15 giugno del 1962 arriva la lettera di partenza, ancora bisogna sostenere una visita a Napoli. Ecco i 10 più assidui pronti alla partenza! Le mamme, le sorelle piangono; teniamo a stento l’emozione per non farle di più soffrire, ma in noi c’è come una bomba senza sicura, è sufficiente una parola, uno sguardo per dare il via alle lacrime. E’ con me Pierino, mio cugino, e con le sue battute distoglie il pensiero dell’imminente separazione. È toccato anche a lui l’epilogo del dramma interno e a me confortarlo. Arriviamo a Palermo, all’ufficio di collocamento. Il viaggio è iniziato: prima tappa Napoli per la visita medica. I due giorni di Napoli sono di dura tensione: “Sarò idoneo o tornerò a casa con qualche malattia mai saputa?”. Questa è la preoccupazione che ci assilla. Per fortuna non uno di noi viene escluso. Dopo la visita, in un ufficio veniamo presentati ad un tedesco, il quale ci chiede se intendiamo lavorare per la sua ditta; d’accordo tutti accettiamo e firmiamo il contratto di lavoro numero 446. Spunta un altro giorno. Veniamo impacchettati in un treno colmo di emigranti tutti numerati come detenuti! Viaggio verso l’ignoto, così lo definisco; non sappiamo la destinazione né la durata del viaggio. Finalmente arriviamo alla frontiera italiana; dal Brennero attraverso l’Austria e un tratto di Svizzera giungiamo in Germania. Alla prima stazione qualcuno grida: “Tutti quelli che hanno il numero… sono pregati di scendere”, e così le stazioni successive. A ogni sosta della locomotiva abbiamo l’ansia di sentire chiamare il nostro numero, ma pare che si siano dimenticati di noi. Improvvisamente ascoltiamo il numero 446; eccitati prepariamo le valigie e scendiamo ma dobbiamo aspettare, con grande delusione, la coincidenza di un altro treno. Nell’attesa della coincidenza ceniamo, poi chiamati i numeri colprendiamo la marcia verso l’ignoto. Ecco il nostro turno! Un solo nome ci è noto: “Sterkrade”. Arriviamo in questa città alle 22.00 circa. Alla stazione viene a prenderci il tedesco e l’interprete che abbiamo incontrato a Napoli. Man mano che usciamo dalla stazione entriamo in una cabina di foto istantanee (in un minuto quattro foto!). Questa la prima meraviglia che notiamo in Germania; le foto sono orribili: malandati e stanchi di tre giorni di viaggio, barba lunga e capelli spettinati, sono sicuro che anche il più coraggioso dei bambini vedendoci in simil foto piangerebbe dalla paura. Dopo le foto ci imbussolano in un camion chiuso ed in 20 minuti circa arriviamo a Sterkrade più preciso a Fronstebruk. Basta trasportarsi con la fantasia in un villaggio western con una stradetta dritta lunga circa 300 m, fiancheggiata da baracche di legno, per avere l’idea del luogo! Ogni baracca ha due porte, quattro stanze per ogni porta anch’esse numerate. Non manca la grande sala pure in legno. Televisione e radio sono sistemati in un altro salone; i due saloni sono divisi dalla cucina per poter servire meglio. Il camion ci scarica. E’ venerdì, l’interprete si chiama ad uno ad uno, ci offre un anticipo e ci annuncia che lunedì visiteremo la fabbrica, nostra fonte di lavoro. L’interprete ci assegna i letti, stanchi e soli con i nostri pensieri ci addormentiamo con un bagaglio di ricordi e con una grande speranza per il futuro! Pino Guttilla

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