La lingua passa il mare. Migranti siciliani in Tunisia

A partire dalla seconda metà del secolo XIX, la Sicilia fu interessata non soltanto dai grandi movimenti migratori verso il continente americano (NordAmerica, Argentina, Brasile), di cui cospicue sono le testimonianze, ma anche dagli spostamenti verso i paesi del bacino mediterraneo dell’Africa: Algeria, Egitto, Marocco, Tunisia. Ciò appare sorprendente, se si guarda alle immigrazioni di oggi. Negli anni Trenta del Novecento in Tunisia vivevano circa 100.000 siciliani provenienti dalle provincie di Trapani, Palermo, Ragusa e Agrigento. Le cause di questo fenomeno sono individuabili nelle condizioni di miseria della terra di espulsione, nella crisi agraria, nel forte incremento della popolazione nei primi anni del 1900, nel conseguente aumento della disoccupazione; ma sono anche rintracciabili nel potere attrattivo della terra di approdo, nelle seducenti condizioni economiche e politiche della Tunisia francese di fine Ottocento e nella conseguente catena di richiamo degli immigrati verso i connazionali residenti in patria. Già nel secolo XVIII la Tunisia era abitata da imprenditori e commercianti livornesi e genovesi, proprietari di tonnare, per esempio, che reclutavano la manovalanza in Sicilia. Nella prima metà dell’Ottocento, la città di Tunisi divenne centro di cospirazione politica per mezzo di carbonari o mazziniani, che qui trovarono rifugio, decidendo di rimanervi anche dopo l’Unità d’Italia. Motivo di attrazione per i braccianti furono le convenienti tipologie di contratti di affitto delle terre (enzel, mhagarni) che permisero a molti di diventare proprietari. Dopo il 1881, la manovalanza siciliana fu richiamata dalle imponenti opere di rinnovamento che avviava il protettorato francese: la costruzione del porto di Tunisi e di quello di Biserta, e della linea ferrata Tunisi-SousseKairouan. La Tunisia appariva insomma un paese in cui era possibile per mezzo del lavoro raggiungere uno stato di benessere. Si formarono colonie di siciliani soprattutto lungo la costa settentrionale, a Mahadia, a Susa, nella penisola del Capo Bon, a Biserta, a Tunisi, dove sorse nella zona portuale (la Goulette) la Piccola Sicilia, abitata perlopiù da pescatori. A Susa o Sousse sorsero Capaci Grande e Capaci Piccolo, dal nome della località vicino a Palermo. Nei territori ad ovest, confinanti con l’Algeria, la presenza degli immigrati era legata all’estrazione dei minerali. In questa zona, nei dintorni di El Kef, vivevano venticinque famiglie originarie di Roccapalumba. Questi luoghi dell’immigrazione divennero dei veri microcosmi culturali, eterotopie di un luogo altro, della patria negata: gli immigrati della Goulette non rinunciarono ai festeggiamenti della Madonna di Trapani. La statua ogni anno, il 15 agosto, e fino a poco tempo fa, veniva portata in processione per le strade di Tunisi pure dai musulmani che la chiamavano “la bedda matri di Trapani”. Questa meravigliosa convivenza multiculturale si interruppe nel 1956, quando la Tunisia ottenne l’indipendenza dalla Francia e cominciò il processo di decolonizzazione. La linea nazionalistica di “tunisificazione”, intrapresa del leader indipendentista del Neo Destour Habib Bourguiba, costrinse tutti gli stranieri a rimpatriare. Pochi siciliani ritornarono in Sicilia: furono accolti nei campi profughi allestiti in Lombardia, in Puglia e in Emilia. Stranieri in Patria, molti si recarono in Francia, paese sentito culturalmente più vicino sia perché ne conoscevano la lingua, avendo preso la nazionalità francese, sia perché in Tunisia avevano lavorato presso un’azienda francese. La presenza contemporaneamente nel secolo XX in Tunisia di siciliani, francesi, italiani, tunisini favorì le interferenze linguistiche e diede origine a una straordinaria lingua creola. S.C.

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